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Mauro
Gioielli
Il culto di Santa Barbara a Isernia
Articolo pubblicato sul
settimanale «EXTRA», anno XV, n. 18, 31 maggio 2008, pp. 16-17.
Nei secoli, il Molise è stato
ripetutamente colpito da movimenti tellurici, anche molto drammatici. A
volte tali calamità naturali hanno fatto nascere nuove forme di religiosità,
altre volte hanno influenzato preesistenti espressioni di fede popolare [1],
come nel caso della festa che Isernia riserva a Santa Barbara il 6 giugno.
Santa Barbara
Le
notizie sulla vita di Santa Barbara V. M. sono incerte e frammentarie. Visse
presumibilmente nel III-IV secolo e fu martirizzata sotto Massimino o
Massimiano (o, forse, Massimino Daja) [2]. Anche sul luogo dove ebbe i
natali, le fonti sono discordi. Nicomedia di Bitinia (Turchia), però, appare
la città più accreditata.
La totale assenza di
inequivocabili notizie storiche su Santa Barbara ha fatto nascere intorno
alla sua figura varie leggende, che hanno condizionato sia la devozione che
l’iconografia della martire.
Secondo la tradizione, Barbara,
figlia di un ricco pagano, s’era segretamente convertita al cristianesimo.
Quando il padre stabilì di darla in sposa a un soldato senza fede, la
fanciulla, che aveva fatto voto di castità, si rifiutò. Il genitore,
convinto che una severa punizione le avrebbe fatto cambiare idea, la
rinchiuse in una tetra torre, priva di porte e illuminata solo da tre
finestrelle. La tenne prigioniera in completo isolamento, senza cibo e con
poca acqua; ma, per intervento divino, ogni notte da una delle finestrelle
entrava una bianca colomba (lo spirito santo) che le portava un tozzo di
pane.
Per vincere le resistenze di
Barbara, il padre la fece anche torturare più volte. Uno dei supplizi fu
quello di denudarla e avvolgerla in panni tanto ruvidi e pungenti da farla
sanguinare. Miracolosamente, quando tolsero i panni, la giovane era intatta
e più bella che mai.
Il padre, allora, decise di
ucciderla e la decapitò egli stesso. Subito dopo, però, il crudele genitore
subì un mortale castigo: un fulmine, scoccato a ciel sereno, l’incenerì [3].
Il culto isernino
Il calendario riserva a Santa
Barbara la data del 4 dicembre, ma gli isernini la festeggiano soprattutto
il 6 giugno. In genere, a lei si ricorre per scongiurare le intemperie
(patronato antitempestatario), quando vi sono violenti temporali e i fulmini
squarciano il cielo [4]. A Isernia, però, è invocata parimenti contro il
pericolo dei terremoti [5]. Ancora oggi, quando si avvertono movimenti
sismici [6], anche lievi, c’è qualcuno che si reca in chiesa a pregare
rivolgendosi alla martire di Nicomedia. Più volte in passato, in occasione
di scosse che hanno provocato panico nella popolazione, la sua statua è
stata condotta in processione.
A giugno, nei giorni che
precedono la festa (dal 28 maggio al 5 giugno) si effettua la novena. La
mattina del 6 – nella chiesa di San Francesco, in cui è custodita la statua
di Santa Barbara – si officiano solitamente tre messe. Nelle ore pomeridiane
se ne celebra un’altra, dopo la quale una processione percorre le vie della
città [7].
Durante l’anno, la statua è
conservata in una grande teca vetrata, collocata a lato dell’altare
maggiore. All’inizio del novenario, l’immagine viene spostata nella zona
anteriore dello stesso altare, dove, per meglio accoglierla ed esporla, si
realizza un’apposita nicchia.
Il simulacro è di buona
fattura. La fanciulla indossa un mantello rosso, una tunica verde a disegni
giallo-oro e una veste chiara con fiorellini azzurri. La mano sinistra regge
la palma del martirio, il seno destro è lacerato da un pugnale di foggia
orientale, il capo è cinto da una corona. In basso, da una parte è posta una
piccola torre che ricorda la prigionia della santa; dall’altra sono
collocati dei modellini di edifici, alcuni dei quali inclinati per
rappresentare gli effetti d’un movimento tellurico.
Il patronato antisismico
A Isernia, con ogni probabilità
il patronato antisismico di Santa Barbara ha avuto origine nel dicembre
1456. In seguito, forse per l’iniziale influsso del terremoto del 1688 e
certamente per il decisivo effetto di quello del 1882, s’è cominciato a
festeggiare la santa il 6 giugno d’ogni anno [8].
Nel 1456, «in nocte S.
Barbarae» – come fu documentato in un’antica pergamena – «ingentissimus
et potentissimus Terremotus» colpì il Regno di Napoli. Le vittime furono
«quadraginta
milia», di cui circa
«octingenti
homines» a Isernia
[9].
Mario Baratta [10] menziona più
fonti riguardanti tale sisma: «L’Ambasciatore Senese scriveva in data 7
dicembre: “a dì 4 de questo [mese], sonate le XI hore venne uno
terremoto...”. Ercole Marchese di Ferrara anche egli dava partecipazione
dell’avvenimento con una lettera in cui dice “sabato quarto giorno dello
stesso mese sino alla domenica verso le dodici ore avvenne un terremoto...”
(...). Ed infine un ms. sincrono della Università di Pavia pubblicato
dal Romano [11] (...) riferisce che “Mcccclvi a dy quatro de dexembre
tra le X e XI hora e durò per un decimo d’ora fu in lo Reame un
terremoto...”. Adunque, concludendo, la scossa disastrosa avvenne nella
notte del 4-5 dicembre tra le ore 10 e 11 (...)».
Per quanto concerne la festa di
giugno, va
detto che il sesto mese dell’anno è quello in cui, nei secoli, sono accaduti
più movimenti tellurici subiti da Isernia. Nel giugno 847, la città «fu
quasi interamente distrutta con grande numero di vittime» [12]. Il 5
giugno 1688 un terremoto interessò numerose località del Molise [13] e della
Campania, e fu avvertito anche in altre regioni. Le scosse si ripeterono
intense nei giorni immediatamente successivi. Circa due mesi durarono quelle
di assestamento. Il 6 giugno 1882 [14], «a 6h 40m ant., in Isernia
fortissima scossa ond.-suss.
ne-sw
di 5-6s: a 6h 50m a. altra meno
lunga ed intensa e quindi una terza»
[15].
_______________
Note
[1]
La devozione per Sant’Anna, ad esempio, in più paesi molisani si è
rafforzata e modificata dopo il terribile sisma del 26 luglio 1805 (M.
Gioielli, Il Trionfo delle Messi. La festa di Sant’Anna a
Pescolanciano, in M. Gioielli,
a cura di, Il Trionfo delle Messi. Storia e tradizioni di Pescolanciano,
con allegato Dvd, Campobasso 2005, pp. 19-74;
M. Gioielli, La festa di
Sant’Anna ed altri aspetti della cultura etnica jelsese, in
G. Palmieri e
A. Santoriello, a cura di,
Jelsi. Storia e tradizioni di una comunità, Ferrazzano 2005, pp.
193-216). Un culto che nel Molise, come altrove, mostra rapporti con i
terremoti è certamente quello di Sant’Emidio (M.
Gioielli, Il culto di Sant’Emidio
nel Molise, “Extra”, XIV, n. 21, 9 giugno 2007, pp. 16-17), ma le
calamità hanno fatto sorgere anche delle forme di religiosità ‘locale’, come
ad esempio quella che Lucito nutre per il suo patrono San Nicola (G.
Piedimonte, Notizie civili
e religiose di Lucito, Campobasso 1899, pp. 139-142; M.
Gioielli, Santi e terremoti,
“Extra”, XIV, n. 14, 21 aprile 2007, pp. 16-17).
[9]
Il testo latino della pergamena fu trascritto da G.V.
Ciarlanti, Memorie
historiche del Sannio, Isernia [ma Napoli] 1644, p. 440. Altre fonti,
fra cui il menzionato Ciarlanti (op. cit., p. 441), asseriscono che i
morti furono milleduecento.
[10]
M. Baratta, I terremoti
d’Italia. Saggio di storia, geografia e bibliografia sismica italiana,
Torino 1901, pp. 67-68. Alcuni documenti datano il terremoto del 1456 al 4
dicembre o nella notte fra il 4 e 5 dicembre; gli annali sismici, però, lo
collocano al 5 dicembre.
[15]
M. Baratta, op. cit.,
p. 490.
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